Frontiere

Misteri della vita

 

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Soltanto dopo 1000 milioni di anni dalla sua produzione … l’ossigeno cominciò ad uscire dalle acque per diffondersi nell’atmosfera …

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Torniamo indietro di 5,6 miliardi di anni. Il nostro pianeta si è appena formato: una immensa distesa d’acqua dove le terre emerse sono raggruppate in un unico continente. L’atmosfera non conteneva ossigeno libero. Gli atomi di carbonio, azoto, ossigeno e idrogeno, i fondamentali costituenti della materia vivente, erano legati tra loro in molecole di metano, ammoniaca, anidride carbonica e vapor acqueo, il miscuglio di gas dell’atmosfera primitiva terrestre.

Possenti fonti di energia, quali folgori temporalesche, eruzioni di innumerevoli vulcani, intense onde sonore provocate dalla caduta di grandi meteoriti erano presenti sulla superficie del pianeta. Agivano sul miscuglio di gas dando luogo a reazioni di sintesi. Venivano così prodotte enormi molecole organiche tra le quali gli amminoacidi, i più piccoli mattoni della vita. Piovevano in gran copia sulla superficie terrestre.

Immaginiamoci una primitiva laguna tropicale dove ruscelli di acqua dolce trasportavano in soluzione composti della crosta terrestre sotto ossidati (l’ossigeno atmosferico non c’era ancora).

Sugli insiemi concentrati dei prodotti organici di sintesi, collocati alla profondità di 10 metri d’acqua, lo spessore necessario per tagliar via, come fa oggi l’ozono, la letale radiazione ultravioletta solare, si accentuò via via un processo di trasformazione dal meno complesso al più complesso, chiamato evoluzione chimica.

Passarono quasi 3.000 milioni di anni e i più giganteschi prodotti dell’evoluzione chimica, i cosiddetti elementi organizzati, vennero a dotarsi di recettori capaci di catturare e immagazzinare la tenue luce solare incidente alla profondità di 10 metri d’acqua. Si innescò così il processo di fotosintesi. Da anidride carbonica, acqua e luce si formarono i carboidrati, il nutrimento dell’organismo, e ossigeno libero che veniva immesso nell’ambiente. Ma il nuovo gas era estremamente nocivo per gli stessi esseri viventi che lo producevano. Aveva la proprietà di ustionare irrimediabilmente le delicate strutture cellulari che lo avevano emesso.

La materia inanimata sventò il pericolo mortale. I sali in soluzione nell’acqua dolce che si immetteva nella laguna reagivano istantaneamente con l’ossigeno togliendolo di mezzo. Sali ferrosi rimuovevano l’ossigeno ossidandosi in ferrici dando luogo ad una specie di corto circuito. Il processo che liberava ossigeno e quello che lo catturava agivano contemporaneamente e nello stesso luogo. L’evoluzione biologica impiegò circa 1.000 milioni di anni per dotare i primitivi organismi degli enzimi atti a proteggerli dal “veleno” ossigeno, gli stessi enzimi “disintossicanti” presenti nelle cellule degli attuali viventi.

Soltanto dopo 1.000 milioni di anni dalla sua produzione, dunque, l’ossigeno cominciò ad uscire dalle acque per diffondersi nell’atmosfera, inducendo così la formazione dello strato protettivo di ozono. Ciò causò una spinta nell’evoluzione biologica di natura “esplosiva”, nel senso che i microrganismi viventi si moltiplicarono enormemente. Alla vita nascente, relegata per più di 1.000 milioni di anni in un habitat ristretto, si aprì tutta la immensità dell’oceano. La vita si avventurò sulle terre emerse. Ciò che successe dopo lo studiamo a scuola.

Tuttavia tra i misteri della vita non c’è soltanto quello della sua origine. Il mondo circostante ce ne pone altri altrettanto affascinanti. Tra i più suggestivi c’è il rebus del confine tra il vivente e il non vivete. Quando, più di 2000 anni fa, Aristotele si pose il problema, concluse affermando che la natura aveva fatto una transizione così graduale tra il mondo vivente e quello non vivente che la linea di confine era talmente dubbia da poterla considerare inesistente. Nel passato più recente invece, e fino agli anni Venti e Trenta, c’erano elementi per sostenere che i due fossero nettamente divisi.

Si riteneva allora che tutte le malattie infettive fossero causate da microbi viventi e si pensava che i più piccoli fossero i batteri. Si stabilì che essi erano organismi dotati di tutte le funzioni vitali anche se basate su attività biochimiche ridottissime. Si giunse tuttavia a constatare che nel mondo dei microrganismi ce ne dovessero essere anche di più piccoli dei batteri, i virus. Ma si stabilì anche che erano tanto piccoli da sfuggire all’osservazione dei migliori microscopi ottici. Più tardi con l’invenzione del microscopio elettronico fu possibile osservare e misurare anche i virus.

Nel frattempo i chimici avevano scoperto certe enormi molecole di dimensioni appena una decina di volte inferiori a quelle dei più piccoli batteri. Tra le molecole dei chimici e i batteri dei biologi c’era quindi una sorta di terra di nessuno che, a prima vista, sembrava confermare l’esistenza di una barriera “oggettiva” tra il non vivente e il vivente. Il mondo dei virus è stato esplorato a fondo soltanto a partire dagli anni Cinquanta. Si è scoperto che essi sono oggetti che per le loro dimensioni occupano tale terra di nessuno. Non solo, ma che alcuni virus sono più piccoli delle più grandi molecole dei chimici e altri sono più grandi dei più piccoli batteri.

Ma ancora più sconcertante è il comportamento dei virus. Uno degli attributi dell’organismo vivente è la sua capacità di riprodursi. I batteri, per esempio, messi in un recipiente contenente un substrato nutritizio, si riproducono moltiplicandosi. I virus, messi nelle stesse condizioni, si comportano come particelle di sostanza inerte. Non crescono né si riproducono. Ma se vengono messi nelle cellule di un organismo vivente entrano in attività riproducendosi.

Ogni tipo di virus si comporta così solo se viene messo nelle cellule di tipi ben definiti di piante e animali. In altre non dà segni di attività. In breve, per ogni tipo di virus c’è un insieme di cellule viventi che lo rende attivo.

Ma come e dove i biologi collocano i virus nel mondo? Dopo le prime scoperte, alcuni scienziati affermavano che poiché i virus sono in grado, anche se in condizioni tutte particolari, di crescere, riprodursi e mutare, essi devono essere viventi. Altri facevano notare che, poiché i virus non sono dotati dei complessi processi biochimici che di “per se stessi” fanno un organismo vivente, essi andavano piuttosto considerati come oggetti non viventi.

Tra i tanti esperimenti di laboratorio effettuati sui virus ce n’è uno che, per la sua semplicità, sembra rispondere al quesito. L’esperimento fu eseguito negli anni Cinquanta ed ebbe come oggetto il virus “mosaico del tabacco”, chiamato così perché causa una malattia tipica della pianta del tabacco per la quale le foglie assumono una screziatura somigliante a un mosaico. I virus sono costituiti essenzialmente da acido nucleico che si trova nell’interno di un sacchetto, a forma di bastoncino, di materiale proteico. Gli scienziati riuscirono a trovare un metodo chimico con cui furono in grado di scomporre il virus “mosaico del tabacco” nei suoi due principali costituenti. In un recipiente pieno d’acqua fu messo l’acido nucleico e in un altro il materiale proteico. Ottennero così due soluzioni inerti, stabili, materia senza alcun segno di attività vitale; poi le mescolarono.

Dopo qualche tempo osservarono che le molecole del materiale proteico cominciavano ad “agitarsi” nella soluzione e a muoversi in direzione delle molecole di acido nucleico. Si verificò nella soluzione un addensamento “spontaneo” di molecole che portò il materiale proteico ad aggregarsi intorno all’acido nucleico. Si formò così qualcosa di esattamente simile al virus iniziale. Non solo, ma una volta prelevata dalla soluzione e messa su una foglia di una pianta di tabacco, la “struttura” creatasi spontaneamente si comportò esattamente come il virus del tabacco.

C’è quindi da credere, come Aristotele, che la linea di confine tra il vivente e il non vivente è tanto dubbia da poterla considerare inesistente. Il che tra l’altro, per chi non conosce la biologia, è anche l’ipotesi più semplice.

Ottavio Vittori

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