Renato Pampanini (Valdobbiadene 1875 – Torino 1949) è nato a Valdobbiadene, ma la sua famiglia era originaria di Chiapuzza, una frazione di S. Vito di Cadore, dunque era un cadorino. Essendo andata distrutta la casa avita a causa di un furioso incendio, la famiglia si trasferì a Cozzuolo di Vittorio Veneto. Pampanini mantenne sempre un grande attaccamento a questa dimora, come osserva Negri (1958), dove sua madre, donna di elevati sentimenti, assai intelligente e dotata di uno spirito critico notevole, di buone disposizioni per la pittura e di un gusto innato per la lettura, gli diede una seria educazione e l’amore della libera vita della campagna, coltivandone la naturale tendenza per la lettura e la passione per le scienze naturali. Su consiglio di Pier Andrea Saccardo, il famosissimo micologo patavino e professore di Botanica all’Orto Botanico di Padova, che era un amico di famiglia, Renato Pampanini fu inviato in Svizzera dove studiò all’Università di Losanna e si laureò con una tesi di geografia botanica delle Alpi, nella quale vengono presentate – per la prima volta in Italia – le cartine corologiche delle specie endemiche e di altre specie alpine. Rientrato in Italia e presentato dal Saccardo al Prof. Baccarini, nel 1903 entrava come assistente all’Istituto di Botanica di Firenze. Nel 1933 vinse la cattedra di Botanica all’Università di Cagliari.

Renato Pampanini era un botanico sistematico e florista e tutta la sua produzione scientifica verte in questi settori. Allo studio della flora del Cadore ha dedicato cinquant’anni della sua vita, dal 1897 al 1948, ma la sua “Flora dei Cadore”, un volume di 897 pagine, è stata pubblicata soltanto nel 1958 a cura di Giovanni Negri e Pietro Zangheri. Molti sono stati i suoi contributi di Sistematica, fra cui quelli sul genere Artemisia, e la descrizione di nuove specie anche dell’Africa del Nord. Da ricordare le monografie sulla flora della Cirenaica e della Tripolitania (ove ha compiuto diverse spedizioni botaniche), della Somalia e del Caracorum.

Nel periodo in cui Pampanini era a Firenze, ha fatto parte del Consiglio direttivo della Società Botanica Italiana dal 1906 al 1935 e ne è stato il segretario dal 1906 al 1929 (Maugini, 1988). Dotato di una grande sensibilità culturale e naturalistica in generale, oltre che botanica, Renato Pampanini ha lanciato ii suo appello per la protezione della flora italiana in quel periodo. Nel 1911 egli ha presentato le proposte alla riunione generale di Roma del 12 ottobre 1911 della Società Botanica Italiana, Per la protezione della flora italiana, testo pubblicato sul Bollettino societario nel 1911 e come volumetto a parte nel 1912. II volumetto reca la presentazione dell’Avv. Giovanni Rosadi, deputato al parlamento e impegnato per una legge sulla difesa del paesaggio. Ma, dietro sollecitazione di Pampanini e della Società Botanica Italiana, l’On. Rosadi nella Presentazione si impegna anche di occuparsi della flora. L’On. Rosadi va considerato un precursore dell’ambientalismo in Italia: quando era deputato e poi Sottosegretario alle Belle Arti ha contribuito all’approvazione di molte leggi, tra cui quelle per i parchi e per il paesaggio.

Viene esaminata, innanzi tutto, la situazione della protezione delia flora all’estero negli Stati Uniti d’America e soprattutto negli stati europei, ove già erano state prese misure protezionistiche soprattutto in Svizzera, ma anche in Francia, Austria, Germania ed altri stati. Si passa quindi ad esaminare la protezione della flora in Italia, ove nel 1911 non esisteva ancora alcun provvedimento. Vengono quindi elencati i vari tentativi messi in atto dal 1882 (congresso orticolo e intervento di Oreste Mattirolo, già citato) in poi fino al 1910, quando l’On. Giovanni Rosadi ha proposto un disegno di legge per la difesa del paesaggio. Pampanini ricorda molti altri casi che si riferiscono all’Italia, come il caso del papiro (Cyperus papyrus) dell’Anapo a sud di Catania, quello del castagno dei Cento Cavalli sull’Etna, la proposta per un parco nazionale nella zona di Livigno, al limite con la Svizzera.

Renato Pampanini dedica molto spazio all’esame delle cause di distruzione della flora, che sinteticamente si possono così riassumere: a) raccolta di fiori spontanei, sia come fiori recisi, sia come piante vive da trapiantare in giardini e orti casalinghi (sono riportati di esempio la regina delle Alpi (Eryngium alpinum) e la stella alpina (Leontopodium alpinum), di cui in quegli anni venivano raccolte quantità impressionanti (6-7 quintali di stelle alpine nelle Prealpi Lombarde, da smerciare in Austria e Germania); b) specie raccolte a scopo industriale per la fabbricazione di liquori e di medicinali; in questa categoria occupano un posto particolare alcune specie di genziane come Gentiana lutea, G. puntata, G. pannonica e G. purpurea; per la G. lutea delle Prealpi Bellunesi (che Pampanini conosceva palmo a palmo), dice che ormai gli è nota soltanto in un’unica ristretta località dove finora è sfuggita alle ricerche dei raccoglitori. Simili raccolte in massa di piante aromatiche e officinali sono segnalate da varie regioni delle Alpi anche da altri botanici, come Dalla Fior (1955) per il Trentino; poi c’è il caso delle specie dei generi Artemisia ed Achillea, già trattato a proposito del Mattirolo, della raccolta di migliaia di bulbi di specie particolarmente belle come quelle del genere Fritillaria, e quindi quelle a cuscinetto, soprattutto i generi Saxifraga e Primula, raccolte nel 1903 da un raccoglitore per due mesi sulle Alpi Marittime a migliaia e migliaia; per l’Appennino segnala il caso della rarissima Androsace mathildae che venne improvvisamente messa in commercio da un orticoltore tedesco. Pampanini riporta molti altri casi, con un catalogo di specie e i relativi costi. Sembra quasi impossibile che siano avvenute delle distruzioni tanto vaste a danno delle specie vistose della flora alpina; c) l’ultimo caso denunciato è quello delle raccolte per le collezioni d’erbario (qui si può segnalare, a titolo di esempio, il Cistus laurifolius dei Colli Euganei, il Cyperus polystachyus di Ischia, ecc.); d) l’ultimo caso segnalato riguarda i dissodamenti e le bonifiche, soprattutto degli ambienti umidi; fra i casi ormai “classici” egli cita Oxycoccus palustris, Liparis loeselii e Potamogeton polygonifolius scomparsi a seguito della bonifica del Lago di Bientina e vari altri casi. Ora, a distanza di poco più di 100 anni dal Pampanini, questi casi sarebbero centinaia e centinaia.

Pampanini chiama tutte le specie minacciate “piante perseguitate”.

La parte finale si riferisce ai “mezzi” di protezione della flora, che riassumo schematicamente: i giardini alpini; la coltivazione delle specie; il divieto (o forte limitazione) di raccolta delle specie. Le misure suggerite sono le seguenti: 1) fare in modo che la proposta di legge dell’On. Rosadi per la difesa del paesaggio sia estesa anche alla flora; 2) vengano prese misure per la protezione dei monumenti generali in genere; 3) vengano istituite riserve botaniche per le specie più notevoli nelle riserve di caccia reali ed avviate pratiche per la loro attuazione; d) venga istituito il Parco Nazionale nella Valle di Livigno, affinché serva anche alla difesa e allo studio della flora.

L’anno dopo, 1912, Renato Pampanini lancia un altro importante argomento, più vasto rispetto a quello della flora, con il fascicolo Per la protezione dei monumenti naturali in Italia. Questa volta Pampanini introduce l’argomento partendo da considerazioni di carattere generale che ci permettono di capire il suo pensiero e che, pertanto, riporterò per esteso come ho fatto in altri casi. Con l’elevarsi della civiltà – egli scrive – si sviluppò il concetto che noi non siamo i proprietari dei monumenti lasciatici dalle generazioni che ci hanno preceduto, ma solo i depositari per le generazioni future; e mentre dapprima riguardò soltanto il patrimonio artistico e storico, si è poi esteso a quello estetico e scientifico, anche alla conservazione, cioè, dei paesaggi, della flora, della fauna e della fisionomia geologica e geografica di territori particolarmente importanti. Per questa enunciazione, egli si rifà al belga Jean Massart, quando afferma: … noi non dobbiamo, noi non possiamo permettere che gli ultimi angoli di natura che ancora ci restano spariscano davanti all’artificiale. L’aumento crescente della nostra popolazione renderà la concorrenza vitale sempre più aspra, e noi non porteremo rispetto alle generazioni future una responsabilità troppo pesante se noi non lasciassimo loro la possibilità di constatare de visu, anche soltanto un piccolo numero di punti quello che era lo stato fisico del nostro paese prima del suo completo snaturamento (Massart, 1912). Pampanini propone la costituzione di un Comitato nel quale la Botanica, Ia Zoologia, la Geologia e la Geografia fisica siano rappresentate, che dovrebbe dirigere il movimento per la difesa della natura in Italia escogitando i mezzi più adatti alla sua riuscita. Vengono quindi suggeriti alcuni mezzi come traccia per l’azione del Comitato: a) attiva propaganda nel campo scientifico, ma soprattutto fuori di esso, e costituzione di un capitale; b) ottenimento di parchi nazionali rispondente alle necessità della protezione dei nostri monumenti, mediante le seguenti possibilità: – ottenere che per le bandite di caccia il significato di riserva sia esteso anche alla flora; – ottenere che le foreste demaniali, ed eventualmente anche terreni demaniali, siano dichiarati riserve floristiche; – ottenere che l’istituzione del progettato Parco Nazionale della Valle di Livigno sia fatta con criteri veramente scientifici; c) ottenere provvedimenti legislativi atti a salvaguardare i monumenti naturali.

A Renato Pampanini si devono ancora 4 rilevantissimi contributi, due di carattere generale: protezione della natura e parchi nazionali, e due specifici riferiti al Parco Nazionale del Gran Paradiso.

Trovandosi in zona di guerra (inverno 1917-1918), in quelle dolorose giornate dell’autunno, nel ripiegamento dall’Isonzo seguiva con lo sguardo le montagne e le colline sue, che tanti giorni lo avevano rasserenato fin da fanciullo. Le avevo sempre amate, le mie montagne; mai però tanto intensamente come nella profonda amarezza di quelle marce (Pampanini, 1919). In una situazione tanto difficile, egli ha sentito la necessità di scrivere delle “sue montagne”, che in quel periodo erano occupate dal nemico – con l’animo invaso dalla nostalgica visione del loro paesaggio, “volto amato della patria”. Egli ha scritto molto e ne è uscito un volume di 50 pagine, pubblicato nel 1919 dalla Sezione Fiorentina del C.A.I. (Pampanini, 1919). La ragione di questo lungo scritto è dichiarata all’inizio dal suo Autore; l’Italia era in guerra, che – qualunque possa essere la sua durata e la sua violenza – non è che un episodio: Perciò è tutto guadagnato quello che fin d’ora si fa perché poi, quando i popoli potranno di nuovo dedicarsi al raggiungimento degli ideali di civiltà, la nazione possa riprendere con lena il suo cammino. Ed in questo complesso lavoro di preparazione, che è un dovere per noi tutti, trova posto anche l’esame del problema della protezione della natura la cui importanza è ben più vasta e profonda di quello che, forse, a taluno possa sembrare a prima vista. Ecco dunque il volume “La protezione della natura in Italia“, che è la cronistoria molto documentata dei tentativi, delle proposte, delle iniziative per la protezione della natura in Italia dall’epoca dei Romani al 1919. La conclusione consiste in un elenco dei progressi e dei risultati raggiunti, che riporto qui in forma riassuntiva, perché ci permette di comprendere qual era la situazione in Italia nel 1919:

–        adesione dell’Italia alla Conferenza di Berna e sua partecipazione alla Conferenza internazionale per la protezione della natura del 1913;

–        inizio degli studi per i parchi nazionali d’Abruzzo e di Livigno e per l’intero problema della protezione della natura in Italia (1913);

–        legge per la protezione del camoscio d’Abruzzo (1913);

–        iscrizione dei massi erratici della Brianza fra i monumenti naturali (1915);

–        costituzione della “Lega nazionale per la protezione dei monumenti naturali” (1912) e della “Commissione per i parchi nazionali e la tutela della flora e della fauna italiane” (1916);

–        la legge sulle ville e sui parchi (1912);

–        il ripristino del laghetto di Antillone (1917);

–        deliberazioni per la conservazione dei boschi del lago di Nemi (1912), della Punta di S. Vigilio (1913), dei boschi della badia di Passignano e del castello di Vincigliata (1917) e di quello della Verna (1918);

–        costituzione di riserve di stato per la conservazione ed il ripopolamento della selvaggina (1913 e 1914);

–        costituzione di vari comitati a scopi protezionisti per piante, monumenti italici, ecc.

Pampanini conclude osservando che malgrado le sue incertezze, nel suo insieme il movimento si va diffondendo anche da noi determinando la persuasione che la tutela della natura è una necessità che non va più oltre trascurata … quando questa grande tragedia, che ha tanto sconvolto il mondo, si sarà acquetata e su tutte le patrie insanguinate, deposte le ire ed asciugate le lagrime, saranno ritornati i giorni sereni riapparirà anche il problema della protezione della natura risorgeranno i progetti travolti.

Su una copia del volume di Pampaniní “La protezione della natura in Italia“, che si trova ora nel suo archivio di Torino, Renzo Videsott ha scritto questo commento: Sì! Siamo nel 1948 e dobbiamo continuare. Il nostro Movimento per la Protezione della Natura, nato nel nord Italia fra Trentini, Piemontesi, Lombardi e Valdostani, per lddio, non può impaludarsi! Ma bisognerebbe trovare un paio di uomini preparati, entusiasti e farli vivere solo per questo scopo!

I contributi di Renato Pampanini sui parchi nazionali e su quello del Gran Paradiso sono tutti apparsi sulla rivista “Augusta Praetoria” di Aosta, fondata e diretta dallo scrittore Julel Brocherel, che nel 1948 aveva partecipato al Castello di Sarre alla fondazione del Movimento Italiano per la Protezione della Natura.

Franco Pedrotti

 

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