Specchio

L’uomo e il pianeta Terra

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L’alluminio sarà esaurito tra trent’anni, il rame tra venti.

Prima della fine del secolo prossimo miniere che ancora egli deve scoprire saranno vuote.

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La suprema importanza che per noi riveste il posto che l’uomo occupa in natura ci ha indotti a darci diverse versioni di come ne venne a far parte. Tante quanto sono le vesti di protagonista che ciascuno di noi gli attribuisce.

Tra le più recenti ce n’è una che è stata costruita con l’intento di fondere la storia del nostro pianeta con quella che noi stessi viviamo. Un insegnante di scienze naturali di una immaginaria scuola dei nostri giorni la illustrerebbe ai propri alunni pressappoco così.

La vita formatasi nell’oceano si avventurò sui continenti dove affrontò una straordinaria varietà di ambienti e situazioni. L’evoluzione organica accelerò il suo corso creando forme vitali via via più diversificate.

Passarono centinaia di milioni di anni e la combinazione di pressioni selettive le più disparate produssero cambiamenti adattivi maggiori su alcune piuttosto che su altre. Apparvero nelle prime organismi via via sempre più specializzati a svolgere particolari funzioni. Aumentarono in esse la portata e la varietà degli adattamenti all’ambiente. Cambiamenti evolutivi ancora più grandi le differenziarono ulteriormente.

Qualche decina di milioni di anni fa si accelerò su quel ramo della vita un processo evolutivo che sviluppò strutture e funzioni che avrebbero caratterizzato la specie uomo. Esaltate ancor più nei discendenti fornirono all’Homo sapiens che le ereditò la capacità, apparentemente unica nei viventi, di costruire uno specchio in cui guardare sé stesso e il mondo. Fu molto svelto nell’apprenderne l’uso tanto che impiegò soltanto qualche centinaio di migliaia di anni a diventare padrone della tecnica con cui modellarne la superficie. Progredì in crescendo poiché la ricerca di migliorare l’immagine che di sé lo specchio gli restituiva esaltava in lui proprio quelle capacità che gli avevano permesso di costruirlo.

Sulla specie uomo veniva così ad agire un nuovo intenso processo di specializzazione mai messo in atto prima dell’evoluzione.

Il suo adattamento all’ambiente raggiungeva rapidamente i più alti livelli e la sua capacità di procreare aumentava. Poi sopraggiunsero i grandi cambiamenti del clima a sconvolgere gli equilibri che aveva conquistato. Possenti coltri di ghiaccio sommergevano le sue fonti di nutrimento e lo spingevano alla disperata ricerca di altre. Per generazioni e generazioni pagava con la morte di quasi tutti i suoi piccoli la sopravvivenza della sua specie contro il resto del mondo.

Fu quindi la successione ininterrotta di stati di drammatica necessità che lo portò inevitabilmente ad accentuare nell’effige di sé quella del costruttore di specchi. La consapevolezza di esserlo lo elevava nettamente al di sopra degli altri esseri viventi.

Mutava via via a suo favore l’immagine del suo rapporto con il resto del mondo ed aumentava in lui la facoltà di mutarla. Lo straordinario meccanismo evolutivo lo guidava alla conquista del pianeta.

Cresceva intanto la discendenza e si estendeva la superficie dei territori conquistati. Fu costretto a suddividersi nel tempo in tante comunità. Tante quante erano state le immagini più salienti di sé che via via si erano succedute nello specchio. La ricetta per ricostruirlo era la sola eredità di ciascuna frazione della specie. Il meccanismo evolutivo funzionava nella direzione voluta soltanto per l’insieme degli uomini che ne lavorava la superficie.

Il moltiplicarsi delle frazioni e degli specchi sviluppò tecniche ottiche di straordinaria originalità. Le comunità più versatili in quest’arte riuscirono ad ingrandirsi conquistandone altre per poi, in tempi successivi, soccombere a loro volta.

Succedeva intanto, e prevalentemente negli insiemi più popolosi, che l’accentuazione di certe caratteristiche della superficie speculare, impercettibili nell’immagine per coloro che lavoravano, si traduceva in sensibili deformazioni degli uomini. Intorno all’unico specchio della comunità veniva così a generarsi una contesa tra le diverse tecniche ottiche tese a sopraffarsi l’un l’altra per assicurarsene la lavorazione.

Il meccanismo che tanto efficacemente aveva operato sul sistema uomo-specchio sotto le pressioni provenienti dall’esterno del sistema aveva generato una variante interna. E questa seguitava ad agire alimentandosi all’antico meccanismo che essa stessa aveva finito per riprodurre.

Qualche migliaio di anni fa una delle più piccole frazioni della discendenza si trovò a vivere sulle coste orientali del Mediterraneo. L’uomo di quella comunità, forse il primo nella storia della specie, provò a costruire uno specchio che l’immagine di sé gli riflettesse anche il Sole, la Terra, l’acqua e gli altri esseri viventi.

Quello specchio è giunto fino a noi. Ha resistito ai tentativi che nel tempo sono stati fatti per plasmarlo con le tecniche usate per l’altro. Non ha subito alterazioni anche perché l’uomo che lo costruì vi scrisse sopra, con caratteri indecifrabili per i più, la ricetta per lavorarlo.

Le sue esaltate proprietà ottiche producono oggi effetti straordinari. L’immagine riflessa che di sé l’uomo ne trae sempre più nettamente lo distingue da una parte e sempre più intimamente  lo confonde dall’altra con il Sole, la Terra, l’acqua e gli altri esseri viventi.

È tuttora unico ed è sempre il medesimo. Non appartiene ad alcuna delle comunità via via create dalle moltiplicazioni dell’altro ed è nello stesso tempo proprietà di tutte.

Il contrasto tra ciò che il primo riflette rispetto al secondo crea motivi di conflitto in ogni comunità comunque piccola. In alcune si è scoperto che immagini parziali tratte dal secondo servono a migliorare quelle rese dal primo. In altre l’uomo è riuscito a ricavare da questo un’immagine di sé che comprende anche quella che gli rimanderebbe l’altro. In tutte le comunità si cerca di attenuare il conflitto esaltando quelle riflessioni del primo che risparmiano agli uomini di guardarsi nel secondo.

L’Uomo della Specie è consapevole che non c’è contrasto. È vero che se non avesse modellato il primo mai avrebbe costruito il secondo. Ma è altrettanto vero che oggi li possiede entrambi. Sono i beni più preziosi ed egualmente preziosi dell’eredità trasmessagli dall’antico ceppo. Sono le basi su cui può operare un nuovo processo evolutivo ancora più straordinario di quello che l’ha condotto tanto in alto. Giudicare e controllare egli stesso la direzione della futura evoluzione della sua specie!

Il secondo specchio gli rimanda nell’immagine di sé quella del pianeta che ha conquistato. Inesauribile e sconfinato nell’ottica dei padri gli appare nella sua simile a una navicella spaziale sulla quale è imbarcato per compiere un viaggio di cui si sa il come ma non il perché.

L’estensione dei terreni, fonte prima di alimento della sua specie, è oggi sfruttata solo a metà. Ma già nell’arco della presente generazione, prima cioè dell’anno 2000, egli uomo alla conquista del futuro così come è stato del presente, si troverà di fronte a una drammatica carenza di terra da coltivare.

Le risorse di minerali, di ferro, di argento, di rame, e di altri metalli, armi prime del suo sviluppo, gli verranno a mancare nell’immediato futuro. L’alluminio sarà esaurito tra trent’anni, il rame tra venti. Prima della fine del secolo prossimo miniere che ancora egli deve scoprire saranno vuote.

La sua recente corsa al progresso non sarà senza conseguenze dannose per la prossima discendenza. La superficie della Terra e l’insieme delle acque del pianeta danno segni di saturazione nei riguardi della sua passata attività.

I rifiuti organici che egli riversa nelle acque si decompongono sottraendo ossigeni all’ambiente. In alcune località marine l’ossigeno disciolto è ridotto a zero. I pesci vi muoiono perché non possono respirare. Il vasto patrimonio di alimenti che la vita acquatica gli ha finora assicurato è qua e là in declino.

L’acqua degli oceani si rimescola con un ritmo che è troppo lento rispetto a quello del suo progresso. Gli oceani profondi migliaia di metri sono immobili nella scala temporale del suo sviluppo. Tutti i rifiuti che dalla terra e dall’aria vi entrano si disperdono rapidamente, ma soltanto in uno strato spesso appena cento metri.  Ciò che in pochi anni si è accumulato in quei cento metri ne impiegherà migliaia per diluirsi con l’acqua che sta al di sotto.

Il piombo, il mercurio, gli insetticidi che egli ritrova sparsi sulla superficie della Terra, perfino nei lontani ghiacciai polari, sono gli evidenti limiti della atmosfera nel disperdere ciò che egli vi immette e della superficie della crosta nell’assorbirlo. Il fatto che li ritrovi anche nei pesci gli fa toccar con mano quanto vicina sia la saturazione di quei cento metri d’acqua. Un giorno, forse non lontano, dovrà rinunciare a servirsene per nutrirsi.

Altri effetti che la sua attività può indurre sul pianeta sono ancora più subdoli. Lo strato di ozono che protegge la vita, il risultato di complessi e delicati equilibri chimici e fisici, è minacciato da alcuni gas liberati sulla superficie terrestre. In particolare da quelli che egli usa e che, per non danneggiare l’aria intorno a sé, vuole inodori, atossici, inerti, indistruttibili, non reattivi. Sono trasportati alle alte quote atmosferiche dove diventano distruttibili e quindi chimicamente attivi proprio in presenza di ozono.

L’energia che ha consumato durante l’ultimo arco di una vita ha liberato nell’aria una enorme quantità di anidride carbonica. Un quarto è stato assorbito dall’attività fotosintetica dei vegetali sparsi sul globo, un quarto è andato in soluzione negli oceani e metà è rimasto nell’atmosfera.

Se si ripartisce così anche quella che egli libererà nel futuro non ci sarà l’immediato pericolo di superare il quid critico di spostamento dell’effetto serra dell’atmosfera. Ma c’è qualche segno che il comportamento del pianeta si discosterà nel futuro da quello passato.

Quei cento metri d’acqua risentono già dell’anidride carbonica che vi si è accumulata; calerà il tasso con cui l’assorbiranno nel futuro. Salirà via via nei prossimi anni quello con cui l’atmosfera se ne arricchirà. Il pericolo di alterare il clima della Terra si farà consistente già prima dell’inizio del prossimo secolo.

D’altra parte però i depositi di combustibile fossile si esauriranno prima e quindi non sarà costretto ad imporre a sé stesso restrizioni nel consumo di combustibile fossile.

Per altro verso ciò non dovrebbe rallentare il suo sviluppo. Sfrutterà i depositi di uranio ricchi di energia nucleare. Preleverà la luce del sole da cui trarrà tutta l’energia di cui avrà bisogno. Metterà altri esseri viventi in condizioni di fornirgli combustibile pregiato. Tra le innumerevoli famiglie di batteri ce ne sono alcune che sono in grado di produrre idrogeno in forma di gas.

Ma deve tener presente che l’aumento dell’effetto serra atmosferico è pericoloso solo in quanto è in grado di scaldare la superficie della Terra in misura tale da dare il via a cambiamenti climatici progressivamente più vistosi. Poiché il consumo di energia si tradurrà in definitiva in produzione di calore la scalderà in ogni modo. E ci sarà un limite che non potrà valicare.

Il suo progresso inteso nel futuro come un proseguimento del presente non sarà quindi regolato dalla quantità di energia che sarà capace di produrre ma piuttosto da quella che l’equilibrio termico del pianeta gli concederà di consumare.

Le soluzioni alternative lo riconducono inevitabilmente alle scelte che farà.

Nell’immagine ci sono anche le stelle. Milioni e milioni, delle quali 500.000 sono state catalogate. Molte, così come il nostro Sole, sono circondate da pianeti. Le stelle con certe caratteristiche sembrano le più adatte a portarsi appresso pianeti simili alla Terra. Si sa quante ce ne sono nella galassia. Se ne sa l’età e la Luminosità. In un pianeta in orbita ad una certa distanza da un Sole simile al suo la formazione della vita è un evento inevitabile.

Di pianeti siffatti nella galassia ce ne dovrebbero essere almeno 100.000. Una quarantina si troverebbe ad una distanza dalla Terra compresa entri i 4 ed i 22 anni luce. Le sonde spaziali che egli costruisce possono arrivarvi. E da lì altrove sulla pista di altri esseri ancora più intelligenti che potrebbero aver già risolto il problema della sopravvivenza sui loro pianeti.

Anno luce dice implicitamente il tempo che impiegherebbe la sua sonda ad arrivarvi. Migliaia e migliaia dei suoi anni soltanto per raggiungere i più vicini confini di quel mondo.

Ma chi può dire se nel futuro, come d’altra parte è giù successo in passato, non troverà che ciò che lo limita oggi sarà superato e quindi che egli potrà viaggiare nello spazio senza limiti di velocità?

L’immagine non dà una risposta diretta in quanto non ha modo di dare senso alla domanda. Può fornire però una risposta indiretta.

Se è sensato il modo con cui si deduce che nella galassia la vita esiste, essa dovrebbe allora trovarsi in differenti stadi evolutivi. E ciò in quanto il tasso della sua evoluzione dipende da particolari condizioni fisiche esistenti su quei mondi. Una differenza percentualmente anche piccola nel tasso stesso comporta una differenza di milioni di anni nel grado di sviluppo della vita tra un posto e l’altro. Ci saranno quindi pianeti dove la vita avrà raggiunto lo stato degli “elementi organizzati”, in altri quello della Terra e in altri ancora dove sarà milioni di anni avanti a quest’ultimo. Se “esseri” così progrediti non sono venuti a visitarci, mai l’uomo potrà raggiungere i pianeti in cui abitano.([1])

L’immagine gli restituisce sé stesso sempre più isolato e sempre più legato al piccolo pianeta. Nel futuro di quest’ultimo la sopravvivenza e la estinzione della sua specie sono avvenimenti egualmente probabili.

L’ispirazione per affrontare e superare questa imminente fase della lotta per la sua sopravvivenza la troverà, così come ha sempre fatto, nella immagine di sé che riuscirà a trarre dal primo.

La consapevolezza di essere unico al mondo in ogni e qualunque copia di sé e che il mondo sarà ancora una realtà soltanto se la sua specie seguiterà ad esistere gli appare in tutte le immagini di sé, qualsiasi sia la comunità che possiede lo specchio. È l’insieme dei valori più alti di sé di cui ogni uomo della specie, indipendentemente dagli altri, si sente erede.

Si tratta di identificarli, tra i tanti spuri, e riunirli in un solo esemplare comune. Su quell’effige di sé, sovraimposta a tutte le altre, l’antico meccanismo lo guiderà ancora una volta verso la sopravvivenza della sua specie.

La sola differenza tra la nuova lotta e l’antica sta nei tempi di risposta del “resto del mondo” alla sua azione plasmante. Quelli del pianeta di oggi sono lunghi rispetto all’arco della vita dei singoli. L’antico meccanismo funziona soltanto a vantaggio di chi lo innesca. Ridurne il ritmo per produrre benefici dei quali godranno i posteri e non egli direttamente, è tra le facoltà che l’uomo della specie deve ancora attribuirsi.

La scoprirà però tra i concetti più rari di sé espressi nel passato dai singoli e dalle piccole comunità alla libera ricerca di un’identità. È tra i valori che formeranno la nuova eredità della specie.

L’opalescenza delle antiche porcellane orientali era uno dei tanti mezzi a disposizione delle comunità artigiane per esprimere ciò che esse definivano “la risonanza dello spirito del cosmo che penetra nell’artista e produce il movimento della vita”.

Riuscirono a dare alla porcellana la proprietà di accendersi della luce del Sole sì da “rendere i colori adeguati alle caratteristiche”. La virtù acquistata dalla materia era il risultato dell’estrema raffinazione del caolino usato nell’impasto. Veniva messo in soluzione in opportuni recipienti dove era soggetto ad un attacco batterico che lo macerava intimamente. La granulazione ottimale richiedeva che il processo durasse più di un secolo!

La possibilità di esprimersi sui massimi valori della loro arte fu assicurata a quelle comunità artigiane per migliaia di anni. La continuità era garantita dal caolino messo a macerare dagli antenati e da quello messo a macerare per i posteri. Un meccanismo che, una volta a regime, è semplice e comodo e non richiede sacrifici.

Ma tutto sta nel concepirlo e nel metterlo in atto. È ciò che fecero le comunità artigiane che vissero alcune generazioni prima dell’era del massimo splendore.

I principi della loro produzione artistica erano tanto sentiti dagli uomini di quelle comunità da indurli ad innescare un meccanismo atto a creare valori che avevano intensamente desiderato ma dei quali non avrebbero mai goduto se non attraverso la consapevolezza di trasmetterli.

([1]) La risposta del secondo specchio, la Scienza, è di Enrico Fermi.

Ottavio Vittori

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