Chernobyl

L’affare Chernobyl a distanza di tempo

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Se un profano si trovasse a seguire da vicino l’operazione noterebbe che lo strumento … segna una radioattività elevatissima.

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L’affare Chernobyl ha visto la comparsa sui teleschermi di vari uomini di scienza chiamati a pronunciarsi sui pericoli ai quali eravamo esposti. Si è affermato che l’opinione pubblica è stata colpita da alcune dichiarazioni in stridente contrasto con altre, e molti si sono domandati se la fiducia nella ricerca scientifica fosse ben riposta. Ora che gli animi si sono placati, vediamo di fare chiarezza.

Esiste in Italia una rete di stazioni, tra le migliori al mondo, per la misura sistematica della radioattività dell’aria. È stata montata a partire dalla metà degli anni ’50 a cura del Servizio Meteorologico dell’Aeronautica. Da qualche tempo in qua le misure vengono effettuate presso l’Ifa, un Istituto del C.N.R. La rete serve a campionare il cosiddetto fall out radioattivo immesso nell’aria da esplosioni di bombe atomiche.

All’atto pratico l’operazione è semplice. Un flusso elevato di aria viene fatto passare attraverso un filtro provvisto di “buchi” di dimensioni ultramicroscopiche. Dopo un certo tempo, 24 ore circa, il filtro viene rimosso dalla pompa e collocato di fronte a un misuratore di radiazione estremamente preciso.

Se un profano si trovasse a seguire da vicino l’operazione noterebbe che lo strumento, supponiamo un normale Geiger, posto di fronte al filtro appena rimosso dalla pompa, segna una radioattività elevatissima. Noterebbe anche che l’operatore non ne registra il valore: soltanto dopo la scomparsa dell’intenso picco, che avviene dopo un certo tempo, l’addetto alla misura comincia a trascrivere accuratamente il numero dei “colpi del Geiger.

Parlare di quantità di radioattività senza specificare la vita media della sostanza radioattiva non ha senso. Ne “Il costo della menzogna” Mario Silvestri commenta in modo pungente ma purtroppo realistico una proposta di legge con cui 30 anni fa lo Stato italiano avrebbe regolamentato il possesso di materiale radioattivo da parte dei privati: un cittadino avrebbe violato la legge se si fosse portato in casa un blocco di marmo appena estratto da una miniera ma non sarebbe stato perseguibile se trovato in possesso di materiale fissile in quantità sufficiente a costruirsi una “piccola” bomba atomica.

Gli elementi chimici esistenti in natura sono caratterizzati da numeri che vanno da 1 (l’Idrogeno) a 92 (l’Uranio), chiamati numeri atomici poiché stanno ad indicare quanti protoni (o elettroni) contiene l’atomo dell’elemento.

Dal numero 81 in su sono radioattivi nel senso che i loro atomi perdono parte delle particelle subnucleari che li costituiscono: le emettono, le espellono. Si dice che quell’atomo decade trasformandosi. Per altro verso, bombardando atomi con deuteroni, neuroni, ecc. ad alta energia si producono atomi radioattivi. Praticamente tutti gli elementi possono essere resi radioattivi. Vengono chiamati isotopi dell’elemento stabile bombardato in quanto hanno lo stesso numero atomico ma massa maggiore.

Per vita media di un radionuclide si intende il tempo impiegato dalla metà di un certo numero di atomi di un particolare elemento radioattivo a trasformarsi. Questa vita varia da un centomilionesimo di secondo (un figlio del Radio) a qualche miliardo di anni (l’Uranio).

Torniamo al profano che assiste alla misura. I concetti sopra esposti sono sufficienti a metterlo sulla buona strada. Lo scopo dell’operazione che si svolge sotto i suoi occhi è di misurare la quantità di radioattività “a lunga vita” presente nel filtro. Nel caso, questa consiste quasi esclusivamente di particelle di fall out della bomba. Composta di radionuclidi a lunga vita (per esempio lo Sr 90 che ha una vita media di circa 28 anni) è la più dannosa per le cellule degli esseri viventi con le quali viene a contatto.

Pochi si domandano come la radioattività naturale (di vita media brevissima) che provoca l’intenso picco iniziale viene catturata dal filtro. Tutti sanno che viene emessa dal terreno e che si tratta di sostanze radioattive “figlie” di elementi radioattivi contenuti nella crosta. Molti rimarrebbero perplessi nell’apprendere che queste “figlie” sono allo stato gassoso. Sembra ragionevole cercare di capire attraverso quale meccanismo vengono trattenute dal filtro che non può catturare atomi e molecole ma soltanto particelle di pulviscolo.

Assieme ai radioattivi, il terreno emette gas di natura diversa che hanno la proprietà di reagire rapidamente tra loro formando particelle solide piccolissime chiamate nuclei di Aitken. Gli atomi dei gas radioattivi si attaccano ai nuclei solidi così formati e vengono pertanto catturati dal filtro. In assenza di pulviscolo nell’aria l’intenso picco di radioattività iniziale del filtro non ci sarebbe.

In definitiva i gas naturali (radioattivi e non) vengono emessi dal terreno attraverso un uguale processo. Un suolo riscaldato dal sole si sgassa più facilmente. Il filtro misurerà in tal caso una grande quantità di radioattività naturale a causa della combinazione di due fenomeni “intensi” di natura diversa verificatisi contemporaneamente.

Lo Iodio radioattivo proveniente da Chernobyl non fu emesso dal terreno. Si calcola che la concentrazione in aria di particelle solide necessaria per catturare la totalità di atomi di Iodio 131 presenti nell’aria è dell’ordine di 100 microgrammi per metro cubo, una concentrazione di nuclei di Aitken elevatissima e quindi impensabile nell’aria libera proveniente da Chernobyl.

L’epilogo del caso Chernobyl si traduce nella nostra mente in uno schema concettuale semplice e immediato. La maggior parte dello Iodio radioattivo giunto fino a noi era in forma di atomi e molecole. Questi sono passati indisturbati attraverso i buchi del filtro usato per catturarli. Non esiste a tutt’oggi un metodo per campionare atomi radioattivi di vita breve (tre giorni) presenti in aria in concentrazioni relativamente basse.

Per altro verso lo Iodio gassoso ha la proprietà di attaccarsi facilmente a qualsiasi superficie con cui viene in contatto.

Nel caso dell’isotopo Iodio 131 proveniente da Chernobyl le foglie della vegetazione hanno svolto la funzione di campionatori efficientissimi.

Sfortunatamente si è trattato di raccoglitori non previamente tarati. Altrimenti avrebbero permesso di effettuare una misura vera e propria della concentrazione di Iodio 131 nell’aria.

Sembra ragionevole l’ipotesi che parte dello Iodio 131 abbia reagito con le sostanze organiche delle cellule viventi che lo avrebbero così fissato permanentemente. Il lavaggio in superficie delle foglie si configurava come una misura cautelativa efficace nel caso di Iodio 131 depositato. Non avrebbe prodotto alcun effetto sui vegetali che lo avevano fissato.

Sembra incredibile come diventino facili le cose viste da lontano.

Ottavio Vittori

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