Clima

Vulcani e clima

 

 

Il vulcano Tambora … saltò praticamente in aria … A Giava, distante circa 300 km, si fece buio a mezzogiorno e le case, le strade … vennero ricoperti da uno spesso strato di cenere.

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Sull’andamento medio annuale del clima gioca un ruolo di primo piano la quantità di energia raggiante solare assorbita dalla superficie terrestre (e trasformata quindi in calore), una grandezza che rimane pressoché costante in media nel tempo.

Tuttavia essa può subire cambiamenti a causa di eventi naturali che si verificano sporadicamente. Tra questi ci sono le esplosioni dei vulcani. Fenomeni del genere immettono nell’atmosfera enormi quantità di materiale di cui in gran parte in forma di particelle che si distribuiscono a ventaglio interessando gradatamente quasi tutto il pianeta. Si forma nell’atmosfera una specie di cortina fumogena che ha la proprietà di riflettere la radiazione solare indicente. Più quantità di radiazione solare in arrivo sulla terra viene rinviata indietro verso lo spazio quindi meno diventa la frazione assorbita dalla superficie terrestre. Si ha come conseguenza una tendenza del clima verso il freddo. Per qualche anno dopo il verificarsi dell’esplosione si registrano qua e là sulla terra ondate di freddo che noi attribuiamo genericamente ai capricci del clima.

Nel corso di questo secolo si sono verificare tre esplosioni di vulcani e precisamente nel ’63, nell’81 e nell’82: nel 1985 si è registrato un improvviso consistente accumulo di polvere nell’atmosfera che alcuni scienziati attribuiscono all’esplosione di un vulcano “sconosciuto” in quanto è probabile che il fenomeno sia sfuggito ai satelliti artificiali dotati di strumentazioni atte a registrare questi avvenimenti.

Annate particolarmente fredde verificatesi nel corso nel tempo comunemente definito “a memoria d’uomo” sono passate praticamente inosservate. Soltanto nel ricordo di alcuni agricoltori, le occasionali drastiche diminuzioni del raccolto dovute a gelate fuori stagione sono rimaste impresse come avvenimenti climatici eccezionali.

Se tuttavia si esplora il passato in un’ottica storica più ampia (che prescinde quindi dall’esperienza dei più vecchi tra noi) si incontrano fluttuazioni climatiche, dovute a fenomeni del genere, di tale intensità da risultare inimmaginabili per la nostra mente. La più vicina a noi risale al 1815, anno in cui si verificò la più veemente esplosione vulcanica degli ultimi 400 anni. Il vulcano Tambora, situato nell’odierna Indonesia, saltò praticamente in aria. Al seguito del succedersi delle esplosioni, 1300 metri di vetta furono scaraventati nell’ambiente. Circa 100 miliardi di metri cubi di polvere vennero immessi nell’atmosfera.

È difficile farsi un’idea della virulenza del fenomeno. A Giava, distante circa 300 km, si fece buio a mezzogiorno e le case, le strade e i campi vennero ricoperti da uno spesso strato di cenere. Nella prolungata oscurità si sentiva, a intervalli, il suono delle esplosioni del tutto equivalente al rombo delle artiglierie. La somiglianza con il tuonare dei cannoni colpì a tal punto il comando militare locale da indurlo ad inviare truppe di soccorso alle navi, nella convinzione che fossero state assalite dai pirati.

Gli effetti più vistosi del fenomeno durarono a lungo. Ancora quattro anni dopo l’esplosione non era raro per i naviganti di imbattersi nelle ceneri del Tambora nella forma di enormi isole di pomice alla deriva sugli oceani. Le particelle immesse nell’atmosfera vi restarono in elevate concentrazioni per parecchi anni.

I danni all’agricoltura furono enormi. Nel 1816, su alcune località della Terra dal clima di tipo mediterraneo si abbatterono ondate di freddo così intenso da non trovar riscontro nella memoria delle comunità umane che ne furono colpite. Brinate e gelate fecero la loro comparsa in giugno, luglio e persino in agosto! In molte zone le granaglie e gli ortaggi furono distrutti.

A leggere i giornali del tempo ci si imbatte frequentemente nel racconto di episodi “catastrofici”: raccolti agricoli del tutto andati a male, comunità umane colpite da miseria e fame.

Nelle cronache della climatologia storica il 1816 è ricordato come “l’anno senza estate”.

Ma l’entità dei danni subiti dall’uomo fu di gran lunga maggiore. Studi recentissimi hanno permesso ai climatologi di formulare l’ipotesi che i cambiamenti climatici causati dall’esplosione del Tambora sono responsabili della prima pandemia di colera nel mondo.

Prima della grande esplosione il colera era circoscritto alla regione di pellegrinaggio sul Gange. La carestia dovuta alle anomalie climatiche che seguirono l’esplosione del Tambora produsse un indebolimento della popolazione sufficiente a far sì che la malattia si propagasse nel Bengala particolarmente a causa delle operazioni militari Britanniche.

Raggiunte le sponde del Mar Caspio, il morbo si estese gradatamente verso occidente lungo due direttrici: una verso il Volga e l’altra verso il Medio Oriente. A quei tempi non esistevano ancora ferrovie e aerei: la diffusione del colera era lenta un po’ come avviene per le malattie delle piate al giorno d’oggi.

Venne il tempo in cui l’epidemia raggiunse l’Europa. I servizi giornalistici dell’epoca narrano a vivaci colori il tremendo impatto della malattia a Mosca, Pest, Sebastopoli e Parigi.

Nel 1832 giunse dal Canada la notizia che il flagello aveva varcato l’Oceano Atlantico. Nel luglio di quell’anno le vittime del colera a New York raggiusero la bella cifra di 100 morti al giorno. L’intera comunità umana ne fu falcidiata.

La divulgazione di notizie concernenti avvenimenti climatici nella veste di fattori storici dovrebbe aiutare a colmare il divario oggi esistente nella nostra società tra la cultura umanistica e quella scientifica.

Ottavio Vittori

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