Luigi Parpagliolo (Palmi 1868 – Roma 1953) è discendente da una delle più antiche famiglie palmesi, la quale conta fra i suoi membri sindaci, sacerdoti e nobildonne; così scrive il Prof. Domenico Ferraro di Palmi, del suo illustre concittadino. Uomo gentile e colto, cui l’Italia deve la prima difesa del paesaggio, attaccatissimo a questa terra e alle sue glorie, ha scritto di lui il pro-nipote Felice Battaglia, filosofo spiritualista cristiano, pure di Palmi. Luigi Parpagliolo frequentò le scuole inferiori a Palmi e poi si trasferì a Roma per frequentare le superiori e quindi l’università, laureandosi in Legge.

Quando si trovava a Palmi, Parpagliolo aveva occasione di incontrarsi con il musicista Francesco Ciléa a Bagnara Calabra, non lontano da Palmi, ove trascorreva l’estate (Ferraro, 2006). Parpagliolo era molto impressionato dal paesaggio di Bagnara CaIabra, di cui scrive così: Dinanzi a questa scena, che letifica il cuore, quale spettacolo! Stromboli, le isole Eolie, la Sicilia, Io stretto di Messina che sbocca come un largo fiume nel mare vivido di scintille, e dietro ad esso l’Etna … fra la Marinella a destra, popolata di pescatori, e la Marina grande a sinistra, il paesaggio appare nella sua imponente grandiosità: il semicerchio dei monti di Sant’Elia alla Punta di Pezzo presso allo stretto di Messina emerge, nell’aere luminoso, dal mare, su cui riflettonsi in un giuoco di luci le ultime granitiche balze … (Parapagliolo, 1930).

Negli anni della gioventù scrisse alcuni romanzi e novelle pubblicati in prevalenza in Fanfulla della domenica, come Fra la neve (1888), Anticaglie (1888), Stelle cadenti (1889), Ombra fugace (1889), Un barone (1889), Serafica creta (1889), ln alto i cuori (1890), Lucilla (1890), mentre Vittime (1891) era stato edito come edizione a sé stante a Catania. Egli era uno scrittore e letterato, con una grande cultura classica. Dotato di un’erudizione fuori del comune, partecipava – quando gli era possibile – alle manifestazioni culturali che si svolgevano nella sua città, pronunciando anche discorsi, come quelli in occasione dello scoprimento della lapide a Giuseppe Garibaldi e per la visita a Palmi di Francesco Ciléa, ambedue del 1892. Tuttavia, come osserva Bruno Zappone, fu un uomo molto modesto ed abbastanza chiuso in sé stesso. Il suo stesso ritratto, riprodotto dal volume postumo Calabria (Parpagliolo, 1993), lo rivela come un uomo serio e severo, e Galati (1936) accenna al suo carattere assolutamente schivo.

Nel 1900 vinse il concorso al Ministero della Pubblica Istruzione, per cui abbandonò la professione di avvocato per assumere l’incarico di segretario al Ministero; raggiunse quindi il grado di capo divisione dell’istruzione superiore e poi quello di Vice-Direttore generale per le antichità e belle arti, carica che mantenne fino al pensionamento, avvenuto nel 1934. Egli era, dunque, un funzionario ministeriale.

Come scrive sempre Domenico Ferraro, Luigi Parpagliolo profuse il suo impegno e la sua vasta cultura nel suo ufficio del Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale delle antichità e belle arti, ove però non si limitò ad operare nel disbrigo delle pratiche burocratiche, ma agì con mentalità aperta apportandovi il notevole contributo della sua vastissima preparazione culturale. Al Ministero, d’altra parte, aveva la possibilità di incontrarsi con persone come Corrado Ricci, Arduino Colasanti e Roberto Paribene, e a Roma quel gruppo della Pro Montibus et Sylvis di cui facevano parte Pietro Romualdo Pirotta, Erminio Sipari, Giovan Battista Miliani ed altri, in una comunanza straordinaria di idee e intendimenti. Parpagliolo – fra l’altro – ha scritto un articolo sulla Nuova Antologia per la promozione del Parco Nazionale d’Abruzzo e, una volta istituito il parco, ne ha fatto parte nella Commissione amministratrice.

Nel 1936, in occasione del suo collocamento a riposo, un comitato di amici e di estimatori, fra cui Michele Barillari, rettore dell’Università di Bari, Vito G. Galati, Francesco ClIéa, Francesco Pentimalli, Pasquale Arena e altri, si fece promotore di un volume antologico in suo onore dal titolo Itinerario spirituale, che è una scelta di alcuni scritti di Parpagliolo fra cui quello sul Monte Sant’Elia (Parpagliolo, 1936). Nella breve nota introduttiva del volume, il comitato promotore così si è espresso a proposito di Parpagliolo: Le sue tendenze artistiche, la sua cultura giuridica e il costante suo amore del “paesaggio” si sono fusi in quella che costituisce la sua passione dominante: la difesa delle bellezze naturali d’Italia e la tutela del patrimonio artistico nazionale. Il filosofo Felice Battaglia nelle note introduttive e dedicatorie al libro “Morale e storia nella prospettiva spiritualistica”, si esprime nello stesso modo, con poche aggiunte: Gentiluomo vero nella semplicità del costume, amò la poesia e il diritto, servì il paese nei pubblici uffici con intera dedizione all’Italia alla sua arte e al suo paesaggio, dette la più adeguata legislazione di tutela. Sono parole soltanto apparentemente retoriche come lo dimostra il suo comportamento durante tutta la sua vita e quello che ha fatto. Una lunga introduzione si deve al Prof. Vito G. Galati, che è stata pubblicata anche come edizione a parte (Galati, 1936).

Galati afferma che questo scrittore [Luigi Parpagliolo] non è solo un attento studioso di questioni giuridiche e un dialettico pacato e insieme tenacissimo e inflessibile nella stretta delle sue argomentazioni, bensì un artista che alimenta la forza della sua informazione e della sua logica giuridica nella passione profonda per la bellezza. Non un giurista, dunque, che si abbatte con la sua compatta struttura mentale su argomenti d’arte, ma un artista che mette a servizio della sua fede la cultura giuridica e storica acquisita in lunghi studi. Recandosi nel 1900 alle Belle Arti, il Parpagliolo non portava dunque in sé soltanto una profonda esperienza giuridica, ma un’anima di artista. La sua convinzione più profonda è che la bellezza, sotto ogni forma, ha una imprescindibile funzione educativa. Un motivo etico infatti pervade tutta la sua opera. Parpagliolo ha voluto riconfermare in atto la funzione etica del paesaggio, richiamando specialmente gli Italiani sul tesoro che essi possiedono e sulla necessità di risvegliare e approfondire il sentimento estetico di ognuno come sorgente di consolazioni spirituali; la natura, infatti, vista dall’uomo, è una perenne creazione (Galati, 1936).

Un aspetto non trascurabile dell’itinerario spirituale di Luigi Parpagliolo è quello del passaggio dal positivismo allo spiritualismo, sia nella letteratura che nella vita, come ha ampiamente commentato Galati (1936).

Luigi Parpagliolo ha molto amato Palmi e la Calabria. Nella prefazione al libretto Palmi negli scrittori stranieri (Parpagliolo, 1948 e 2002) ha scritto: questo volumetto ha un solo intento, quello di richiamare sulla città di Palmi l’attenzione di coloro che viaggiano non a scopo di guadagni, ma per diletto e spesso per dar riposo al loro spirito, affaticato dalle competizioni quotidiane, nella contemplazione dei grandi spettacoli della natura o delle grandi opere del genere umano. Nel volume dedicato alla Calabria (prima citato) egli si diffonde a parlare degli aspetti positivi della sua regione e a difenderla da ingiusti attacchi. Fra i vari articoli sulla Calabria di autori italiani e stranieri riportati nel libro, l’ultimo è un testo della poetessa Caterina Pigorini Beri, che per molti anni è vissuta nella sua villa di Perito presso Camerino, ove si occupava – oltre che di letteratura – di giardinaggio e di protezione delle grandi querce secolari dei dintorni della sua villa e della zona di Camerino. Parpagliolo amava molto la sua Calabria e questa è la ragione per la quale ho deciso di riportare qui l’ultima parte di “Addio alla Calabria”, della Pigorini Beri: Addio, buona e forte Calabria seduta fra tre mari azzurri come il tuo cielo: tu sei bella e sei forte; le nostre costiere ti sono affidate; se fosti sì acuta per far danzare ai suoni degli strumenti bellici i cavalli ammutoliti di Sibari, se fosti sì gentile e sì semplice da vincere le grazie di Atene e le fierezze di Sparta, sii ora sì forte da difendere all’Italia il tuo triplice mare dalle piraterie di ogni forma e colore e da conservarlo ai lauti commerci delle tue terre fertili e benedette! (Pigorini Beri, 1892).

La città di Palmi e i suoi dintorni, compreso la grande scogliera, il mare, le alture della costa, sono stati i luoghi che hanno ispirato Luigi Parpagliolo al paesaggio e alla natura, come sottolinea anche Ferraro (1993), quando scrive: E certamente l’animo di Luigi Parpagliolo, tanto sensibile alle opere di particolare interesse artistico e naturale, dovette essere influenzato dall’ambiente in cui nacque e dove trascorse la sua giovinezza, la sua bella Palmi, ricca di incomparabili paesaggi e di posti incantevoli. Palmi è sovrastata dal Monte Sant’Elia, che ha avuto una grandissima importanza per Parpagliolo. Dalla sua cima (è alto appena 582 m, ma il suo versante orientale scende precipite fino al mare) si può ammirare tutta la scogliera e il ripiano con Palmi, al di là dello stretto i Monti Peloritani fino all’Etna, le isole Eolie e il mare infinito. Ecco come ne scrive: Sant’Elia è per me il monte delle rimembranze: esso fu il caro amico della mia giovinezza, il sacrario dei miei sogni e delle mie aspirazioni. Dovunque mi trovi, io ho sempre negli occhi il suo profilo leonino; e penso alle notti di plenilunio, quando, fuse in una sola tinta le sinuosità dei burroni e le punte rocciose del declivio, esso, dalla folta criniera, mi appariva come posato sulle zampe, immobile, vigilante, in attesa fra l’ampia solitudine del mare e dei campi … (Parpagliolo, 1908). Più avanti ritorna sul grandioso panorama del Sant’Elia, la cui magnificenza è ravvivata dai ricordi storici, che sono la singolare caratteristica del paesaggio italiano. Il che fece dire a Madame de StaëI che la natura in Italia fa sognare più che altrove. La meditazione di Parpagliolo sul Sant’Elia spazia, infine, sui grandi temi spirituali dell’uomo: Di questa poesia si nutrì la mia giovinezza, quando, arrampicandomi tra boschi di ulivi e di castagni, sulla sommità del monte, sostavo ore ed ore seduto sul muricciolo sotto le tre croci, felice di quel che vedevo, felice dell’aria deliziosa che mi avvolgeva, felice di quella grande pace che rasserena lo spirito ed eleva la mente a pensieri superiori. Sono passati molti, moltissimi anni da allora, e ancor oggi, che sono vecchio, ho negli occhi la luminosa solitudine di quei giorni felici, che dettero un indirizzo alla mia vita. Fu in quei giorni (chiedo scusa ai lettori per questi ricordi strettamente personali) che io, non ancora ventenne, cominciai a tradurre, come potevo, l’Iperione di Federico HöIderlein, capolavoro della letteratura tedesca, pervaso da un profondo sentimento della natura.

Passando ora ad esaminare l’attività svolta da Parpagliolo, questa dopo il 1900 (con l’assunzione al Ministero della Pubblica Istruzione), si è concentrata quasi esclusivamente sul paesaggio. Come ha scritto Galati (1936), la sua attività più appassionata si rivolgerà a creare la “coscienza” del paesaggio e a suscitare come un dovere il bisogno di garantirlo con provvidenze legislative adeguate. Egli tende a questo scopo in due modi: seguendo dall’interno del Ministero l’iter delle leggi per la tutela del paesaggio e scrivendo articoli sulle riviste più varie, ma soprattutto su Nuova Antologia e Le Vie d’Italia, libri, codici e cataloghi. Dal 1905 segue attentamente tutti i passaggi per migliorare la legge sul paesaggio. Egli era ad un tempo artista e giurista, sicché si deve a lui se, dopo vari tentativi, si giunse alla legge dell’11 giugno 1922 Per ln tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico, la quale, anche nella forma in cui la mutilò il Parlamento, tuttavia pose l’Italia di fronte alle sue responsabilità. Molti furono i dibattiti per potere attuare tale legge; Parpagliolo per quasi vent’anni si era trovato in mezzo a grandi difficoltà e ne aveva condiviso le ansie con Corrado Ricci. Successivamente, Parpagliolo è stato chiamato quale componente della Commissione per la revisione della legge 11 giugno 1922, le cui proposte sono poi confluite nella legge 29 giugno 1939 n. 1497, rimasta in vigore fino a non molti anni fa, poi sostituita dalla cosiddetta “legge Galasso”.

Fra le principali opere di Parpagliolo, si devono ricordare, innanzi tutto, il Codice delle antichità e delle opere d’arte del 1913, con una seconda edizione del 1932, con il titolo leggermente cambiato: Codice delle antichità e degli oggetti d’arte. Nella prima parte è trattato il complesso delle leggi, decreti, regolamenti, ecc., relativi alla conservazione delle cose di interesse storico-artistico e alla difesa delle bellezze naturali nell’antica Roma, nello Stato Pontificio, negli ex stati italiani preunitari e infine in Italia. La seconda parte costituisce il commento teorico della legge 20 giugno 1909 n. 364 riferito ai seguenti argomenti: quali sono le cose che devono essere tutelate; i monumenti di pertinenza dei corpi morali; i monumenti di proprietà privata; la tutela dell’ambiente monumentale; gli scavi archeologici; le sanzioni penali. Nel Codice è riportato anche un elenco di monumenti nazionali, fra cui i seguenti: casa ove nacque Giuseppe Verdi alle Roncole di Busseto, casa di Giuseppe Garibaldi a Caprera, abbazia di Pomposa e casa parrocchiale dove abitò Ludovico Muratori, casa di Pescara ove nacque Gabriele D’Annunzio.

Nel Codice è contenuta la definizione di monumento di Luigi Parpagliolo: ricordando che monumento, dal latino monumentum, o, come alcuni vogliono, dal Iatino muniendo, altro non significa che segno idoneo a eternare qualche ricordo … intendiamo che la parola monumento diventi l’immobile o il mobile, l’edificio o l’oggetto che ammonisce, avverte, contiene, cioè, qualche insegnamento.

L’altro volume di grande portata è La difesa delle bellezze naturali d’Italia del 1923. I primi due capitoli si riferiscono a due temi molto belli e cioè, I° cap. Del sentimento della natura e del dissidio con le esigenze della vita moderna, II° cap. Del movimento in Italia a favore delle bellezze naturali e le prime provvidenze legislative. Segue una lunga trattazione dei fondamenti giuridici delle leggi sulla difesa delle bellezze naturali. In appendice, infine, si può leggere un articolo su I parchi nazionali all’estero e in Italia.

Molti sono i contributi di Luigi Parpagliolo aventi un carattere monografico e riferiti a determinati problemi come centri storici, piani regolatori, acque, albero e boschi, grotte e altri aspetti. Ciò che preoccupa e ci tiene sempre in allarme – scrive – è lo sfruttamento intensivo delle acque che sono la vita, spesso la sola vita del nostro paesaggio; è l’abbattimento dei boschi che vestono di verde le pendici dei nostri monti, e, oltre ad essere elemento prezioso di bellezza, sono regolatori del clima e protettori delle sorgenti; è la deturpazione delle bellezze panoramiche, minacciate giorno per giorno specialmente nelle vicinanze dei centri abitati (Parpagliolo, 1926).

In un altro contributo, riprendendo un giudizio di Luigi Vittorio Bertarelli, dice che il non provvedere efficacemente alla conservazione dei boschi che rimangono è colpa grave di lesa patria. E quindi si domanda: Che cosa ne facciamo delle nostre acque? Le lasciamo corrodere e travolgere al piano le nostre montagne, seppellendo i sassi i più fertili campi, colmando di pietre e terra i letti dei fiumi, provocando sinistri e inondazioni e mandando in breve a finire a mare le nostre terre e le nostre risorse (Parpagliolo, 1927). Nel contributo prima citato del 1926, scrive di angosciose voci di protesta che giungono da più parti contro tagli, già in atto o in progetto, di grandi foreste. Di tali episodi ne sono successi un po’ in tutta Italia dagli anni ’20 ad oggi, nonostante le segnalazioni di botanici e protezionisti, come nel caso della foresta di Badde Salighes in Sardegna, di cui il Prof. Desole dell’Università di Sassari è riuscito a salvare un piccolo nucleo di pochi alberi.

Luigi Parpagliolo ha sempre fatto lo sforzo di coniugare gli aspetti estetici della tutela con quelli ecologici, atteggiamento che appare in tutti i suoi scritti. E non posso trattenermi dal trascrivere la didascalia di una fotografia di Subiaco che ritrae un bosco lungo il fiume e un ponte: bosco e ponte medioevale sull’Aniene: il ponte perde quasi il suo carattere di manufatto, per diventare elemento della bellezza naturale che lo circonda (Parpagliolo, 1935).

Nel 1941 l’Accademia d’Italia gli ha conferito un premio per la sua continua, lunga e altissima opera di studio, di fede e di propaganda per la difesa e la tutela del paesaggio italico.

Franco Pedrotti

 

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