U. Nobile
La formazione di ghiaccio sui velivoli
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Nobile mi confidò che … nel suo pensiero prevalevano da allora le vittime della catastrofe … Conosceva quei ragazzi così come un padre i propri figli …
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Dal tempo della caduta dell’aereo A.T.R. 42 dell’ATI si sono verificati altri incidenti analoghi che hanno portato all’attenzione del grande pubblico le formazioni del ghiaccio sui velivoli.
Agli inizi degli anni ’60 da poco ritornato dall’Università di Chicago, all’avanguardia nella Fisica delle nubi, ricevetti una lettera del generale Umberto Nobile. Gli avevano detto che forse sarei stato in grado di aiutarlo a ricostruire la dinamica della caduta del dirigibile “Italia”, appesantito dalle formazioni di ghiaccio.
Da ragazzo avevo trovato su una bancarella il suo libro “L’Italia al Polo”. A distanza di tempo, ricordavo nei minimi dettagli le drammatiche vicissitudini dell’impresa e i momenti più salienti della persecuzione di cui fu vittima. L’incontro suscitò in me una profonda emozione, la stessa che proverebbe qualsiasi adulto nel trovarsi a tu per tu con il Capitano Nemo dell’Isola Misteriosa.
Se durante la notte la temperatura dell’aria scende sottozero, le pozze d’acqua nel terreno ghiacciano. La bacinella di plastica, opportunamente sagomata, riempita d’acqua e messa in frigorifero, ci fornisce i cubetti di ghiaccio. È opinione comune che l’acqua portata a temperatura sottozero si trasforma in ghiaccio. Ciò non è sempre vero. Le goccioline delle nubi e delle nebbie rimangono liquide anche a temperature sottozero. Come incontrano un ostacolo, l’ala di un aereo per esempio, ghiacciano istantaneamente. Di qui l’accumulo di ghiaccio, le formazioni di ghiaccio per l’appunto, che modificano l’assetto aerodinamico del velivolo, con conseguenti possibilità di incidenti.
Quanto più l’acqua delle nubi è vicina allo zero, tanto minore è la quantità di ghiaccio che si forma. Nell’interno di una nube la temperatura diminuisce dal basso verso l’alto. Questo schema concettuale era chiaramente impresso nella mente di Umberto Nobile in quel fatidico giorno del lontano 1928. Di qui la sua manovra di avvicinamento al suolo, vale a dire verso temperature più prossime allo zero. Purtroppo a causa della visibilità praticamente nulla, la navicella andò a sbattere sulla banchina polare.
Nobile mi confidò che mentre l’interesse della stampa e dell’opinione pubblica mondiale si era concentrato sulle vicissitudini dei superstiti (la famosa tenda rossa), nella sua mente occupava da allora un posto di primo piano il ricordo delle vittime della catastrofe. Tra queste, sei membri dell’equipaggio scomparsi chissà in quale ghiacciaio impenetrabile nelle immediate vicinanze del Polo, assieme all’involucro del dirigibile, innalzatosi rapidamente una volta alleggerito del peso della navicella. Conosceva quei ragazzi così come un padre i propri figli. Nelle sue notti i loro volti si alternavano in una sequenza ossessiva davanti agli occhi della sua mente. “Aveva operato correttamente?”. Questa era la domanda che lo tormentava da più di trent’anni.
Gli illustrai ciò che era stato acquisito dalla scienza negli ultimi tempi. Innanzitutto la quantità di goccioline della nube capaci di dar luogo alle formazioni di ghiaccio diminuisce con la quota. Inoltre a bassissime temperature (quindi a quote elevate) sono presenti nella nube anche cristallini di ghiaccio. Da una scoperta effettuata negli U.S.A. agli inizi degli anni ’50 era stato possibile stabilire che a 40 gradi sotto zero tutta la nube è composta di cristallini. In siffatte condizioni non c’è alcun pericolo di formazione di ghiaccio.
A prima vista verrebbe da pensare che il dirigibile “Italia” avrebbe potuto uscire dalla “morsa” guadagnando quota piuttosto che perdendola. Tuttavia, quando fu dato l’allarme, le formazioni di ghiaccio (una poltiglia di acqua e ghiaccio) avevano già parzialmente rallentato il moto delle eliche. Nell’andare verso l’alto, vale a dire verso il freddo, si sarebbero ulteriormente “indurite”, bloccando le eliche irrimediabilmente. Il dirigibile, divenuto del tutto ingovernabile, sarebbe scomparso nel “nulla”, così come era avvenuto per l’involucro. Tutti sarebbero morti.
Benché queste ultime informazioni fossero state acquisite dagli studiosi venti anni dopo la sua spedizione al Polo, la manovra da lui effettuata risulta l’unica sensata.
Dotato di un’intelligenza straordinariamente vivace, Umberto Nobile afferrò immediatamente la validità di ciò che gli avevo detto. Divenne pienamente consapevole che, nell’esecuzione della manovra, nulla avrebbe potuto fare di diverso da quanto aveva fatto, ciò anche se l’incidente fosse avvenuto ai nostri giorni.
La ricerca scientifica non è un’attività alla quale dedicare parte della giornata, quanto piuttosto un modo di vivere. Molte le delusioni, poche le soddisfazioni. Nel campo della Fisica poi è raro, per non dire unico, il caso in cui attraverso le proprie conoscenze è dato di alleviare “direttamente” le sofferenze dell’animo di un essere umano. Ecco perché questo episodio riveste una grande importanza nella mia esistenza di studioso.
Ottavio Vittori