L’articolo di Alessandro Ghigi “Uso e conservazione delle risorse naturali”, pubblicato nel 1968 nella Enciclopedia della Scienza e della Tecnica, tratta un argomento di grande attualità sia per i contenuti sia per l’azione didattica che si prefiggeva. Prendono spunto da ciò alcune mie riflessioni.

Da qualche mese sono dibattiti frequenti nei talk show italiani quelli sulle modificazioni climatiche del nostro Pianeta. Non voglio mettere in dubbio la buona fede degli organizzatori di tali eventi circa la volontà di offrire all’opinione pubblica una informazione, per quanto sintetica, utile a capire fenomeni complessi, quali sono appunto quelli di cui si parla. A mio parere, il modo in cui sono organizzate tali trasmissioni televisive, come pure le notizie fornite dai telegiornali, consentono al telespettatore di apprendere, dalle parole e dalle immagini, gli effetti del riscaldamento globale (scioglimento dei ghiacci, tropicalizzazione delle regioni mediterranee, ecc.), ma non viene offerta loro la possibilità di comprenderne appieno le problematiche. Nei talk show si assiste piuttosto a confronti ideologici tra correnti di pensiero che vanno dal catastrofismo al cosiddetto “negazionismo”. Gli attori principali di queste “sceneggiate” sono gli uomini politici delle più varie estrazioni, che citano genericamente come quanto sostengono (si badi bene, gli uni e gli altri!) sia frutto della conoscenza scientifica. Posizioni inconciliabili a fronte di un problema reale: l’azione profondamente alteratrice compiuta dall’uomo sulla Natura. Non meravigliamoci quindi se la reazione a questi dibattiti a colpi di slogan sono, per alcuni, origine di turbamento (condizione definita di “eco-ansia”), per altri, allarmismi ingiustificati. Per quante trasmissioni io abbia ascoltato, non ho mai sentito alcuno affermare con forza il “peccato originale” dell’uomo: l’eccesiva crescita demografica. È mai possibile che mass media, economisti, politici, ecc., non comprendano che è necessario scoraggiare l’ormai insostenibile incremento demografico! Anche i nostri religiosi dovrebbero adeguare le loro radicali convinzioni, perché è vero che Dio benedisse Noè e disse loro: «E voi siate fecondi e moltiplicatevi, siate numerosi e dominatela» (Genesi, 9 [7]), ma, aggiungo io, non disse “quanto numerosi”. Non si può sottacere come gran parte dell’opinione pubblica sia stata indifferente, fino ad anni recenti, al turbamento nell’equilibrio della natura causato dall’uomo e alle conseguenze che ne derivano. Eppure il grido di allarme da parte di scienziati e naturalisti non mancarono nel secolo scorso! Come pure non mancarono i tentativi di rendere comprensibili a tutti le ragioni di una necessaria  diversa presa di coscienza per dare corso ad un più razionale sviluppo dei nostri sistemi economici. Abbandonino i mass media la strategia di contrapporre ideologie catastrofiste e negazioniste, che raggiungono il solo obiettivo di creare confusione negli ascoltatori. Diamo invece incremento a nuovi modelli di informazione per diffondere cultura naturalistica, una cultura che non sia solo di apprezzamento delle bellezze naturali e del turismo che queste favoriscono, non sia solo conoscenza della vita degli animali. Occorre diffondere con più incisiva determinazione anche la conoscenza dei processi naturali, dell’influenza dell’uomo su tali processi, dei comportamenti virtuosi che è necessario assumere per rifuggire dalla soglia di irreversibilità di processi vitali per la stessa sopravvivenza dell’umanità. Può essere che, almeno all’inizio, l’audience un po’ ne soffra, ma migliora di certo la saggia informazione e con essa la maturità del popolo. Esistono già alcuni programmi televisivi con un tale approccio, sono pochi, ma di indiscutibile successo. Favorire il giornalismo scientifico e non lo “spettacolo” parascientifico! Il futuro è ancora nelle nostre mani e non dobbiamo perdere l’occasione di viverlo. La Scienza ci consente di conoscere il vero per il vero. La Scienza ci offre gli strumenti per uno sviluppo compatibile. Manca solo la volontà e il coraggio di abbandonare quanto si conosce e ci rassicura, e affrontare con caparbietà un futuro diverso. (Mario Spagnesi)